Bisogna tornare
un po’ indietro e quale giorno migliore per farlo se non il 25 dicembre 2011
alle ore 18:00 di un pomeriggio immobile a Vancouver. La giornata è passata
attendendo che passasse inchiodato con gli occhi alla finestra mentre la pioggia
continuava ad allagare i parchi ed a confondere i gabbiani.
Behind. Indietro
di un anno, ci aggiungo 9 ore e taglio di corsa La Alameda a Sevilla varcando
le colonne d’Ercole senza neppure bagnarmi un mignolo. Il 25 dicembre ha la sua tipica aria
di giornata casalinga, un po’ soporifera, introversa, familiare. L’abbuffata a
pranzo concilia la lentezza, il sentirsi in diritto di attendere che la
giornata passi, così. In fondo è Natale.
Mi riprometto di smentire totalmente
questa mia descrizione passando il prossimo Natale in spiaggia a Melbourne con il costume rosso.
Sono andato
troppo dietro con la mente, Siviglia è lontana e qui a Vancouver dopo una breve
parentesi selvaggia in downtown che ha fatto pensare a tutti i passanti che
stessero girando un film ed ha fatto pensare ad un orso che se quello era un
film, beh allora era proprio un film di merda, ho trovato casa e lavoro.
Sono riuscito a
trovare una stanza a 15 minuti di skytrain dal centro. Una sistemazione tranquilla a poco
prezzo e, cosa da non sottovalutare, con la presenza di una ragazza italiana che
mi ha facilitato di molto l’impresa. Per quanto riguarda il lavoro è stato più
complicato di quanto pensassi, ma non perché non ci siano occasioni, solo
perché ho sicuramente peccato di superficialita’. Ebbene si, lo ammetto. Sono
partito dall'Italia sulle ali dell’entusiamo, e va bene. Sono partito convinto che certi
colpi di testa facciano bene allo spirito, e siamo d’accordo. Sono partito
convinto che l’inglese l’avrei poi “praticato” sul luogo, che per un lavoro in
una cucina italiana potesse bastare la lingua madre. Sbagliato. Nella mia
visione avevo omesso tutta una serie di personaggi che mi si sono
materializzati il primo giorno di stage.
Oh no, non stage
in quel senso. A quel punto restavo in Italia. Lo stage qui è inteso come il
giorno di prova. Il giorno, uno.
Una delle mie
prime interview è andata malissimo.
Inizio molto
tranquillamente a ripetere il mio resume inanellando competenze, abilita’,
qualita’ professionali e descrivendo tutto con molta continuita’,vecchio
trucco per sgomberare il campo da eventuali domande.
Lo chef sembra
convinto dalle mie argomentazioni e mette più parole una affianco all’altra
costruendo una frase dannatamente inglese ed al centro ci mette una parolina:
stage. Nota il mio cambiamento di espressione ed allora quasi si giustifica
dicendomi che dovevo pur fare un periodo di stage.
Mi alzo con fare
deciso. Ringrazio. Porgo la mano. Saluto e dopo un giorno mi rendo conto di
aver fatto una delle figure di merda più clamorose mollando lo chef lì su due
piedi mentre mi offriva una possibilita’. Cerco di rimediare facendo
immediatamente altri colloqui. Vanno bene. Si arriva a fare lo stage e vengo a
conoscenza di quei personaggi sconosciuti di cui parlavo poco prima.
In una cucina
italiana di Vancouver a parlare italiano non c’è quasi nessuno.
Partiamo dai
camerieri. Anche se parlano italiano non lo faranno certo per amarcord o per
venirti incontro nel bel mezzo del servizio.
I lavapiatti: non
parlano italiano neppure in Italia figuriamoci qui.
Ma veniamo ai cuochi. In una brigata di
cucina non esiste la gentilezza, figuriamoci la disponibilita’ e la
comprensione. E’ una caserma la cucina e tu sei l’ultimo arrivato e l’unico mio
vantaggio in questo caso è non capire tutti i loro insulti mentre mi chiedono qualcosa che
non capisco, non eseguo, il piatto non esce, il cliente si lamenta e io ho
finito il mio primo giorno di stage che sara’ pure uno ma se continuo così
sommandoli tutti torno a casa dopo aver fatto un altro stage di 3 mesi ma in 90
ristoranti diversi.
Mentre guardo il
caos della cucina che si materializza nell’ordine del piatto decorato penso a
quanto sono stato avventato a non considerare il fattore linguistico come un
fattore principale. Alla terza settimana riesco comunque a trovare un posto di
lavoro. Il ristorante è splendido, la cucina curata ed elegante e lo chef mi
chiede di parlare la lingua internazionale dell'impegno e della passione. Ma poi a parte
queste mie stronzate che scrivo mi invita a imparare
al più presto l’inglese, perché non si tratta solo di una lingua ma di stare al
mondo…..
Cerco di organizzarmi
per frequentare un corso di inglese ma i costi sono proibitivi e comunque
tenuti durante il mio orario di lavoro. Trovo una scuola dove cercano
volontari; bisognerebbe fare la cavia per dei ragazzi che studiano e pagano per
diventare insegnanti di Inglese. Ottimo.
Niente da fare. le lezioni si tengono durante il mio orario di lavoro. Ma che cazzo di orario di lavoro hai, direte
voi.
Semplicemente proibitivo per un corso di inglese.
Decido allora di
fare da solo e di iniziare dai termini tecnici utilizzati in cucina, un po’ di
bestemmie ed insulti per comprenderli e poter rispondere e poi un po’ di
grammatica. Ammetto che non è molto ortodosso come corso di inglese ma ho
capito dall’esperienza dei primi giorni che non conveniva fare troppo
affidamento sui canonici corsi di lingua. Durante un corso universitario che
avevo seguito in Italia mi era stato spiegato infatti che rispondere what quando non si è capito qualcosa era
tremendamente sgarbato, ma uno dei primi cuochi che ho incontrato sulla mia
strada non deve aver fatto lo stesso corso visto che mi ha abbaiato un what rabbioso, con la bocca distorta ed
un’espressione disgustata. Io aspettavo che sputasse dopo aver masticato ancora
una volta il suo boccone di fottuto tabacco ma invece si era voltato blaterando
qualcosa che non avevo capito ma non mi sono
certo sognato per questo motivo di chiedergli I beg your pardon sir perché sapevo gia’ che sarebbe finita male.
Sto studiando e
mi piace. Riuscire a parlare con la gente, farsi capire. E’ piacevole. Sto
rivivendo le fasi della vita. Inizio a parlare con delle frasi che iniziano e
finiscono e gli altri rispondono quindi, hanno capito. E’ piacevole, cazzo se è
piacevole. Non me ne importa nulla di quello di cui sto parlando e della
risposta che ho ricevuto. Ho iniziato un discorso in inglese, ma ve ne rendete
conto. Si, l’ho solo iniziato, ma da qualche parte bisognera’ pur cominciare.
Per il boxing
day, che è il corrispondente del nostro Santo Stefano, qui ne approfittano per fare sconti molto vantaggiosi e quindi ne ho approfittato per acquistare il mio primo libro in
Inglese. Il libro è l’autobiografia di Steve Jobs di
Walter Isaacson.
Sono alle prime pagine ma mi ci trovo bene così ho deciso di fermarmici per un pò.
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