martedì 27 dicembre 2011

Behind


Bisogna tornare un po’ indietro e quale giorno migliore per farlo se non il 25 dicembre 2011 alle ore 18:00 di un pomeriggio immobile a Vancouver. La giornata è passata attendendo che passasse inchiodato con gli occhi alla finestra mentre la pioggia continuava ad allagare i parchi ed a confondere i gabbiani.
Behind. Indietro di un anno, ci aggiungo 9 ore e taglio di corsa La Alameda a Sevilla varcando le colonne d’Ercole senza neppure bagnarmi un mignolo. Il 25 dicembre ha la sua tipica aria di giornata casalinga, un po’ soporifera, introversa, familiare. L’abbuffata a pranzo concilia la lentezza, il sentirsi in diritto di attendere che la giornata passi, così. In fondo è Natale. 
Mi riprometto di smentire totalmente questa mia descrizione passando il prossimo Natale in spiaggia a Melbourne con il costume rosso.
Sono andato troppo dietro con la mente, Siviglia è lontana e qui a Vancouver dopo una breve parentesi selvaggia in downtown che ha fatto pensare a tutti i passanti che stessero girando un film ed ha fatto pensare ad un orso che se quello era un film, beh allora era proprio un film di merda, ho trovato casa e lavoro.
Sono riuscito a trovare una stanza a 15 minuti di skytrain dal centro. Una sistemazione tranquilla a poco prezzo e, cosa da non sottovalutare, con la presenza di una ragazza italiana che mi ha facilitato di molto l’impresa. Per quanto riguarda il lavoro è stato più complicato di quanto pensassi, ma non perché non ci siano occasioni, solo perché ho sicuramente peccato di superficialita’. Ebbene si, lo ammetto. Sono partito dall'Italia sulle ali dell’entusiamo, e va bene. Sono partito convinto che certi colpi di testa facciano bene allo spirito, e siamo d’accordo. Sono partito convinto che l’inglese l’avrei poi “praticato” sul luogo, che per un lavoro in una cucina italiana potesse bastare la lingua madre. Sbagliato. Nella mia visione avevo omesso tutta una serie di personaggi che mi si sono materializzati il primo giorno di stage.
Oh no, non stage in quel senso. A quel punto restavo in Italia. Lo stage qui è inteso come il giorno di prova. Il giorno, uno.
Una delle mie prime interview è andata malissimo.
Inizio molto tranquillamente a ripetere il mio resume inanellando competenze, abilita’, qualita’ professionali e descrivendo tutto con molta continuita’,vecchio trucco per sgomberare il campo da eventuali domande.
Lo chef sembra convinto dalle mie argomentazioni e mette più parole una affianco all’altra costruendo una frase dannatamente inglese ed al centro ci mette una parolina: stage. Nota il mio cambiamento di espressione ed allora quasi si giustifica dicendomi che dovevo pur fare un periodo di stage.
Mi alzo con fare deciso. Ringrazio. Porgo la mano. Saluto e dopo un giorno mi rendo conto di aver fatto una delle figure di merda più clamorose mollando lo chef lì su due piedi mentre mi offriva una possibilita’. Cerco di rimediare facendo immediatamente altri colloqui. Vanno bene. Si arriva a fare lo stage e vengo a conoscenza di quei personaggi sconosciuti di cui parlavo poco prima.
In una cucina italiana di Vancouver a parlare italiano non c’è quasi nessuno.
Partiamo dai camerieri. Anche se parlano italiano non lo faranno certo per amarcord o per venirti incontro nel bel mezzo del servizio.
I lavapiatti: non parlano italiano neppure in Italia figuriamoci qui.
Ma veniamo ai cuochi. In una brigata di cucina non esiste la gentilezza, figuriamoci la disponibilita’ e la comprensione. E’ una caserma la cucina e tu sei l’ultimo arrivato e l’unico mio  vantaggio in questo caso è non capire tutti i loro insulti mentre mi chiedono qualcosa che  non capisco, non eseguo, il piatto non esce, il cliente si lamenta e io ho finito il mio primo giorno di stage che sara’ pure uno ma se continuo così sommandoli tutti torno a casa dopo aver fatto un altro stage di 3 mesi ma in 90 ristoranti diversi.
Mentre guardo il caos della cucina che si materializza nell’ordine del piatto decorato penso a quanto sono stato avventato a non considerare il fattore linguistico come un fattore principale. Alla terza settimana riesco comunque a trovare un posto di lavoro. Il ristorante è splendido, la cucina curata ed elegante e lo chef mi chiede di parlare la lingua internazionale dell'impegno e della passione. Ma poi a parte queste mie  stronzate che scrivo  mi invita a imparare al più presto l’inglese, perché non si tratta solo di una lingua ma di stare al mondo…..
Cerco di organizzarmi per frequentare un corso di inglese ma i costi sono proibitivi e comunque tenuti durante il mio orario di lavoro. Trovo una scuola dove cercano volontari; bisognerebbe fare la cavia per dei ragazzi che studiano e pagano per diventare insegnanti di Inglese. Ottimo.
Niente da fare. le lezioni si tengono durante il mio orario di lavoro. Ma che cazzo di orario di lavoro hai, direte voi. 
Semplicemente proibitivo per un corso di inglese.
Decido allora di fare da solo e di iniziare dai termini tecnici utilizzati in cucina, un po’ di bestemmie ed insulti per comprenderli e poter rispondere e poi un po’ di grammatica. Ammetto che non è molto ortodosso come corso di inglese ma ho capito dall’esperienza dei primi giorni che non conveniva fare troppo affidamento sui canonici corsi di lingua. Durante un corso universitario che avevo seguito in Italia mi era stato spiegato infatti che rispondere what quando non si è capito qualcosa era tremendamente sgarbato, ma uno dei primi cuochi che ho incontrato sulla mia strada non deve aver fatto lo stesso corso visto che mi ha abbaiato un what rabbioso, con la bocca distorta ed un’espressione disgustata. Io aspettavo che sputasse dopo aver masticato ancora una volta il suo boccone di fottuto tabacco ma invece si era voltato blaterando qualcosa che non avevo capito ma  non mi sono certo sognato per questo motivo di chiedergli I beg your pardon sir perché sapevo gia’ che sarebbe finita male.
Sto studiando e mi piace. Riuscire a parlare con la gente, farsi capire. E’ piacevole. Sto rivivendo le fasi della vita. Inizio a parlare con delle frasi che iniziano e finiscono e gli altri rispondono quindi, hanno capito. E’ piacevole, cazzo se è piacevole. Non me ne importa nulla di quello di cui sto parlando e della risposta che ho ricevuto. Ho iniziato un discorso in inglese, ma ve ne rendete conto. Si, l’ho solo iniziato, ma da qualche parte bisognera’ pur cominciare.
Per il boxing day, che è il corrispondente del nostro Santo Stefano, qui ne approfittano per fare sconti molto vantaggiosi e quindi ne ho approfittato per acquistare il mio primo libro in Inglese. Il libro è l’autobiografia di Steve Jobs di Walter Isaacson.
 Sono alle prime pagine ma mi ci trovo bene così ho deciso di fermarmici per un pò.

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