La prima
sveglia di Vancouver ha una luce tenue e sconosciuta. Non riesco a capire che
ore sono. Sposto la tenda di plastica e tela marron e quello che vedo è un paesaggio scomposto in centinaia di goccioline di condensa. Passo una mano sul vetro rompendo il fragile
equilibrio e la prima immagine canadese
si materializza nel solco della mano. Sono le sette del mattino. Davanti a me,
nel varco d’acqua che si è creato c’è una casetta bassa in legno con il tetto spiovente e poi un’altra e un’altra ancora e poi ricomincia la condensa sul
vetro. Il mio coinquilino durante la notte è stato divorato da un orso grizzly
che ora riposa comodamente nel suo letto, la qual cosa mi sembrava impossibile
viste le dimensioni del mio coinquilino, ma me ne sono fatto una ragione
ascoltando i continui rantoli che provenivano dal suo letto. Vado in bagno e
appena accendo la luce appaio nello specchio con un tappo ancora piantato
nell’orecchio sinistro mentre l’altro devo averlo perso nel letto durante la
notte. Ecco spiegato come aveva fatto l’orso a fare capolino nel mio primo
sogno canadese. Sono impaziente di uscire e come
un cowboy vado a slegare le mie scarpe, ci monto su ed esco finalmente a
Vancou….
Il primo
impatto con l’esterno è quello che si ha quando si rimane per un po’ con lo
sportello aperto del congelatore per cercare qualcosa che inevitabilmente è
nascosto da decine di offerte speciali accumulatesi nei mesi. Il freddo mi
inizia a mordere entrambe le orecchie, mentre le mani si azzuffano come due
furetti impazziti l’una con l’altra, si strofinano e ritornano nelle loro tane
al caldo. La prima cosa che mi colpisce è che le auto hanno tutte lo stesso
colore: bianco metallizzato. Il gelo ha coperto tutto e solo in alcuni punti
inizia a cedere il passo al colore naturale delle cose. Apro una piccola mappa
del quartiere che avevo stampato in tre copie nel caso in cui il pick up non fosse
andato a buon fine. Giro e rigiro il foglio A4 nelle mani cercando di capire la
mia posizione su quel pezzo di carta e mentre lo faccio mi fermo sul ciglio
della strada in prossimita’ di un incrocio. Ma ecco che sopravviene
un’automobile e si ferma a due metri dal marciapiede dal quale io giro la mappa
come se fosse un volante. L’attesa dura secondi interminabili: mi accorgo dell’automobile
e del suo conducente che mi fissa. Mi copro il volto con la mappa e mi guardo
intorno per capire il motivo della sua attesa. Non un semaforo né
un’automobile. Oh dio, sta aspettando me. Abbasso la mappa con entrambe le mani
con fare imbarazzato e incredulo e attraverso guardando l’auto, lì ferma. A
meta’ del percorso alzo la mano in segno di gratitudine come ero solito fare in
Italia dopo che la quindicesima automobile non ti aveva fatto attraversare le
strisce, la sedicesima ti aveva visto più audace e aveva accellerato e la
diciassettesima si era dovuta fermare ed io l’avevo ringraziata così, alzando
la mano.
Devo stare
lontano dal ciglio della strada e non assumere l’espressione di uno che vuole,
pensa o immagina di attraversare. Mi giro verso una siepe, spalle alla
strada e consulto la mia mappa. Intravedo una signora trascinata dal suo
labrador e decido di chiederle delle informazioni. Cerco di parlarle mentre
come nell’uscita di scena di una ballerina di tip tap cammina di lato
inseguendo la sua mano destra attaccata al guinzaglio. Le ripeto la strada dove
vorrei arrivare e lei ha un sussulto da capobranco e tira con energia il
guinzaglio. Il cane si impenna per la sosta imprevista e piagnucola:
ho dieci alberi
da riconquistare stamani, vediamo di muoverci prima che arrivi l’alano,
l’irraggiungibile. La signora prova a spiegarmi ma viene tirata via nuovamente. Capisco solo ,in
dissolvenza, the next street. La strada è costellata da piccole abitazioni in
legno ad uno, massimo due piani dai colori che variano dal grigio scuro al
bianco. Davanti ad ogni casa c’è un prato ed intorno ad ogni prato un recinto
basso in legno. C’è qualcosa di familiare in queste case, questa disposizione,
questi colori ma non riesco a capire cosa. Possibile che trent’anni di film e
cartoni animati americani abbiano instillato in me questa sensazione di gia’
visto, di gia’ vissuto? Ho passeggiato con gli occhi in questa american street
senza saperlo, dal divano di casa. Ma ora è diverso, ora l’immagine è ferma e
ci sono io che scorrazzo in cerca di un caffè. Americano ovviamente!
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