Lo so che potra’
sembrare una follia ma uno dei primi luoghi dove solitamente mi reco quando
sono all’estero sono i supermercati. E’ più forte di me, gia’ dalla barriera
casse inizio a notare piccoli ma importanti particolari.
In Italia questa
è la zona storicamente occupata dalle pile elettriche e dai rasoi poi con gli anni
prepotentemente soppiantati da chevingum e dolcetti vari con l’immancabile
ovetto kinder in primo piano perché loro lo sanno che il bambino sferrera’
l’ultimo suo attacco in quel punto preciso. A due metri dall’uscita sono
consapevoli che il genitore non ne può più di dire
questo no!
No, amore
di mamma, lo abbiamo a casa
da qui ci ripassiamo,
lo prendiamo dopo
e allora cede, stremato all’ultimo ovetto. Le
chevingum sono invece il tranello per l’adulto e per i suoi spiccioli. Il famoso
detto fatto 30 facciamo 31 si applica perfettamente a questo tipo di prodotto.
Il pacchetto formato famiglia di chevingum costera’ pochi spicci in confronto a
quello acquistato fino a quel momento. Fatto trenta…..
Sono quasi in
prossimita’ delle casse e da quello che riesco a veder dall’esterno del
supermercato ci sono…le chevingum, piccoli bonbon e ..no da qui non riesco a
vedere altro. Entro. La disposizione è sempre quella, è internazionale. Al
primo posto televisori piccoli elettrodomestici, etc etc. Ma c’è il corridoio
principale situato di fronte all’entrata del ipermercato che è l’altare
sacrificale dell’offerta speciale. Quel luogo è l’alcova dei desideri del
consumatore. L’ultima volta che sono stato in un supermercato Italiano sono
stato accolto da un totem di pasta in
offerta, ci andassi ora ci sarebbero i panettoni e così via. Anche qui trovo
una montagna ad attendermi ma ha qualcosa che non riesco a comprendere. E’ una
montagna di sacchi bianchi, è come se ci si aspettasse un’ inondazione e le autorita’ avessero
approntato tutte le misure per arginarla. Mi avvicino e lo sguardo si alza ad
ogni passo. La montagna è enorme ed ha evidentemente il solo scopo di farsi
vedere in quanto sarebbe impossibile tirare via uno di quei sacchi senza
causare un genocidio. Ma che razza di prodotto è? E’ contro ogni regola del
marketing vendere un prodotto in una confezione che non abbia nessun tipo di
iscrizione. Devono contenere in se, quei sacchi, delle informazioni che solo io
non riesco a cogliere. Mi apposto fingendo interesse in uno scaffale di fianco
alla montagna bianca. Vedo una coppia di asiatici che la guardano con ammirazione e poi la
oltrepassano veloci e caricano sul carrello uno dei sacchi riposti su di uno
scaffale specifico. Un cartello bianco scritto a mano con pennarello nero dice
semplicemente Rice ed il prezzo.
Lo dicevo che
quella montagna aveva parole che solo io non comprendevo.
Vancouver è una
citta’ con gli occhi a mandorla, è una citta’ nata dal desiderio di una vita
migliore, di un riscatto o a volte solo di una fuga. Ha tanti volti, uno per
ogni desiderio realizzato o in realizzazione.
Osservo i clienti
ma soprattutto i contenitori dei desideri: i carrelli ed i cestelli.
I carrelli sono
enormi, diversi da quelli a cui siamo abituati, pronti a contenere più
desideri. I cestelli a mano sono molto particolari, nascondono un contrappasso
per chi ha deciso di comprare poco. Non sono infatti comodi, con le ruotine
come quelli italiani ma hanno al posto dei manici due corde che ti segano le
mani nel caso ti venisse la malaugurata idea di acquistare molta roba. E’ una
scomodita’ che paghi per non aver scelto il carrello grande, per non aver
scelto di comprare, forse.
Il mio obiettivo
ovviamente è il reparto food, è qui che puoi conoscere la gente di una citta’
prima che dai suoi monumenti, dalla sua storia. Qui risiede il dna di una
popolazione. IL CIBO.
Passo tra gli
scaffali veloce in direzione del reparto pescheria…..
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| Salmone Rosso Sockeye |
Niente banco con
il ghiaccio ma acquari. Trote vive, granchi enormi e tilapia vive anche queste.
Le tilapie sono un po’ come il riso hanno seguito i desideri dei loro
consumatori qui in terra canadese. Un intero reparto frigorifero è destinato al
salmone, e qui mi ci soffermo con attenzione, cerco lui, quello che non ho mai
visto fresco e da vicino, il sockeye salmon. Il salmone selvaggio. Non ha
niente a che vedere con il nostro salmone. Il sockeye ha la carne rossa e ,
dovrebbe, essere selvaggio. Dico dovrebbe perché poi alla fine ci hanno ficcato
anche lui in una vasca ad ingrassare. L’avete visto sicuramente in qualche
documentario in TV, è quello che ogni anno con la sua sensibilita’ manifestata
nella voglia di tornare nel luogo dov’è nato per deporre le uova riesce a salvare
l’orso da morte certa sfamandolo in abbondanza. C’è un’istantanea negli occhi
di tutti quelli che hanno visto uno di questi documentari: l’orso fermo in
acqua ed il salmone che gli salta in bocca. Il nome di questo salmone è una
storpiatura che gli inglesi hanno fatto del nome che i nativi davano al pesce
ovvero suk-kegh che letteralmente significa pesce rosso. Per i nativi che
vivevano queste zone prima che arrivassero i “civilizzatori” il salmone era un
pesce sacro e rispettato quasi quanto lo
è dagli orsi.
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| Cherimoya |
Ultimo reparto
prima di uscire non può che essere l’ortofrutta, e qui faccio compere. Mi
preparo, cerco i guanti, non esistono. Ok, mi armo di busta e scarto i
mandarini biologici made in China vedendoci in queste due connotati un qualcosa
di stridente, cerco prodotti locali e mi imbatto in un cesto di cherimoya
provenienti dal Messico. Le cherimoya hanno la forma ovale e una superficie che
sembra essere stata tagliuzzata con un coltello molto affilato in quanto presenta
molte sfaccettature, è come…è quasi come una pigna chiusa . Mi era capitato di
assaggiarla in Spagna ed il sapore che richiama vagamente una pera matura non
mi aveva molto convinto.
Comincio a
riempire la busta con dei gai lon ed un’altra con Bok Choy entrambi coltivati in Canada. Il primo è il cosiddetto broccolo
cinese il secondo richiama la forma della bieta ed è sicuramente della stessa
famiglia ma di più piccole dimensioni. E’ come se della bietola fosse stato
preso solo il cuore. Entrambi questi prodotti sono, manco a dirlo, molto utilizzati dalla cucina cinese.
Il reparto con le mele è
sterminato e tutte hanno una caratteristica a mio modo di vedere sconfortante:
le mele sono lucidissime, riflettono l luci del supermercato come tante pietre
preziose. Uguali e lucide, lucide e uguali non riesco a prenderle. Ho paura di
finire vittima di un incantesimo, ho paura di specchiar mici dentro.
Ma mentre sto per abbandonare definitivamente il reparto vedo una cosa,
un’arma o…ma cos’è. Leggo il cartello che ha come titolo il nome del frutto
ovvero DURIAN e come sottotitolo la metodogia di conservazione, frozen.
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| Cartello affisso a Singapore |
Un’ultima cosa. Non posso uscire senza sciroppo d’acero. Lo trovo, lo
valuto in base agli ingredienti, scarto quello che contiene caramello e mi
preparo ad uscire. Vagando per le corsie con il cestello che mi sega le mani
per colpa della confezione da litro di sciroppo d’acero vedo che tutto è
venduto in confezioni enormi, più grandi rispetto alle nostre confezioni
risparmio. Sembra ci siano prodotti per uomini e per una razza nuova, più
grande, con più necessita’, con più desideri. Una razza nuova con carrelli
giganti spinti da uomini piccoli.
Corro a casa a provare i gai lon.
Ah dimenticavo, tra un rigo e l’altro ho trovato casa.



Ciao! Anch'io sono a Vancouver. Sono qui da settembre!
RispondiEliminaTi troverai benissimo, è la città più bella del mondo. Goditi questi sei mesi!
Ciao Mdz, ho appena letto il tuo post su Granville e mi sono rivisto appieno. Passo per quella strada ogni mattina e la sera tardi per recarmi al lavoro ed è stato bello rivivere i miei passi sulle tue parole.
RispondiEliminaUn abbraccio e complimenti per il blog
Grazie! In bocca al lupo per la tua permanenza a Vancouver!
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