domenica 4 dicembre 2011

....di dolore ostello



Ho prenotato un ostello per i primi giorni. Ho fatto tutto come un vero professionista del viaggio. Ho prenotato su hostelword e subito è arrivata la mia ricevuta con l’indicazione dei giorni di soggiorno. A stretto giro mi è arrivata un’altra mail della proprieta’ dell’ostello che mi chiedeva info riguardo il mio volo e soprattutto di chiamarli telefonicamente appena arrivato a Vancouver in modo da rendersi reperibili .

Rendersi reperibili? Ho tradotto male? Può essere. Il traduttore di Google può aver capito tradotto male. Per essere certo chiedo alla mia compagna che l’inglese lo mastica e non lo sputa come invece faccio io.
Confermato. Farsi trovare, quindi non sono sempre presenti sul posto, non c‘è una reception ma allora cosa c’è e soprattutto come faccio se non riesco a contattarli. Sono in grado di arrivare all’ostello ma poi loro come fanno a sapere che son lì.
L’ansia è seduta al mio fianco e mi detta una mail in un inglese perfetto in cui chiedo chiarimenti. La risposta arriva subito a mezzo Iphone chiarendomi che avendo loro in carico diverse guesthouse non possono essere in tutte contemporaneamente e soprattutto in maniera continuativa. Quindi? Devo chiamarli.
Mi offrono poi un servizio di pick up dall’aereoporto ad un prezzo accettabile. Accetto subito ma condizione incontrovertibile è che io chiami dall’aereoporto non appena arrivato. Ho fatto di tutto, credetemi, per evitare quella telefonata. Il mio inglese arrugginito da anni di spagnolo e francese parlato male, dimenticato nel cassetto dei viaggi possibili non poteva reggere una conversazione telefonica, vale a dire senza il sostegno del labiale. Mi rassegno. Appena atterrato a Vancouver faccio le varie pratiche di ingresso con il mio Working Holiday Visa che mi permettera’ di restare in suolo canadese per 6 mesi e di lavorare ovviamente. Primo timbro sul passaporto e nessuna domanda da parte dell’addetto che chiamerò Primo come si faceva un tempo quando si facevano molti figli. Io essendomi preparato su vari blog  e siti internet sulle pratiche di ingresso e la documentazione che solitamente chiedevano gli ho vuotato sulla scrivania tutti i documenti necessari, assicurazione, dichiarazione della banca, lettera di ingresso speditami dall’ambasciata di Roma, insomma tutto e tutto per evitare una sua domanda alla quale avrei risposto con un silenzio imbarazzato la bocca socchiusa e la testa piegata di tre quarti come a dire si….ma in che senso scusa. Avergli riempito la postazione di scartoffie ha avuto l’effetto contrario. Non è a Primo che dovevo consegnarle. Primo doveva solo visionare il mio passaporto. Avrei dovuto fare ancora un altro passaggio. Primo, guarda avanti ed invita il prossimo. Mi infilo  in un corridoio che mi porta a degli altri sportelli dove c’è gente in fila e c’è una ragazza  in divisa che controlla le scartoffie, quelle che ora ho in mano arruffate in maniera disordinata e che avevo raccolto frettolosamente prima che Primo si innervosisse. La ragazza, l’agente, ha occhi azzurri, capelli biondi carnagione chiara con gote rosse. Ha dei tratti molto dolci camuffati da una divisa scura e da fattezze armate oltre che da un’altezza considerevole, tutti elementi che ne fanno quello che dovrebbe essere un ottimo agente di frontiera: invalicabile.
La mia documentazione è in regola, posso varcare la porta, cercare la mia valigia rossa che vedo galleggiare su un’onda di acciaio ed uscire a fare quello che non avrei mai voluto fare. Telefonare all’ostello. Mi avvicino ad un punto informazioni dove mi attende con lo sguardo una ragazza. Non sa cosa la attende. Mi chiede due volte molto gentilmente che cosa cazzo sto cercando di dirle. Le parole si accavallano, si scontrano e mi sento parlare spagnolo, francese ce n’è per tutti. Per chi avesse visto lo splendido film Il nome della rosa non sara’ difficile rivedermi nella parte di Salvatore, colui che parlava tutte le lingue e nessuna. Alla fine indico il telefono, la ragazza me lo porge ed a questo punto mi aspetterei un premio una banana o qualcosa che attesti il mio superamento della prima prova. Ma ora il primate deve evolversi ed in pochi secondi deve acquisire capacita’ che hanno richiesto milioni di anni. Ora devo parlare. Il telefono squilla. Risponde una voce ed al suo primo cedimento ritmico io inizio una pappardella che mi ero preparato. Vengo interrotto da un biiiiiiiiip acuto ma non sono ai varchi di controllo, è una segreteria. Tutto quello che ho detto l’ho detto prima del biiiiiip. Ricomincio perdendo il filo ma con la certezza che nessuno dall’altra parte abbia necessita’ di capire ogni parola. Scandisco bene il mio nome e pick up. Faranno due più due ed accorreranno a prendermi. Purtroppo non va proprio così quindi dopo aver aspettato mezz’ora sono costretto a richiamare. Torno al punto informazioni e chiedo di fare un’altra telefonata. A questo punto un’altra operatrice mi chiede se ho dei problemi con l’alloggio, o almeno il senso della domanda in linea di massima doveva essere questo. E’ una sensazione strana è come…..è come avere un anno. Come fanno i bambini di un anno a comunicare di essere completamente nella merda, che quel latte di ieri ha fatto a pugni con l’omogeneizzato al salmone selvaggio ed ora il livello di merda è tale da mettere in difficolta’ la tenuta di qualsiasi pannolino. Come fa un bambino di un anno? Piange, che diamine!
Ma io non posso farlo, anche se vi garantisco che avrei una voglia matta di lanciarmi in un urlo liberatorio, straziante. Devo respirare e concentrarmi e soprattutto mettere in fila, una dietro l’altra le parole di inglese che conosco e che mi possono servire. The book e the table in questo caso non servono. The window neppure.
I have a problem. Ecco si, ho un problema. Poi afferro il foglio di carta della prenotazione gentilmente inviatomi da hostelword. La ragazza capisce al volo come una mamma che legge nel pianto del suo bambino. Richiama lei l’ostello ed è fatta stavolta, tra 30 minuti saranno lì. Ora va meglio. Decisamente meglio. Ecco come dev’essere la sensazione di quando da neonato ti cambiavano il pannolino. Grazie mother.

Aspetto, cha altro posso fare. Un puntino nel vuoto immenso che fanno gli aereoporti vuoti. Una signora cinese mi avvicina e pronuncia il mio nome come se stesse per starnutire  e io nelle sue difficolta’ di pronuncia gioisco nel non sentirmi solo.
Il pick up ha inizio con le presentazioni. Sono un cuoco, sono italiano starò qui per 6 mesi. Direi che può bastare al primo incontro, non vorrete mica che vi racconti la mia vita. Sto iniziando da poco a parlare e mi caco ancora nelle mutande, cosa pretendete.
Il mio primo alloggio canadese è al primo piano di Mc Kay street. All’entrata mi accolgono 8 forse 9 paia di scarpe. Il rituale prevede che presenti le mie scarpe alle altre per evitare che il nuovissimo parkett Ikea si rovini. La casa è piena di ragazzi di diverse nazionalita’ ma con una caratteristica che gli accomuna. Parlano tutti inglese. Condivido la stanza con un  ragazzo proveniente dal centro del  Canada che sembra il risultato di esperimenti sugli ormoni alimentari. E’ enorme e con una voce che sembra provenire da lontano, dal centro del Canada. E’ a Vancouver per seguire la sua squadra, non so di cosa, so solo che la sua squadra ha perso e che lui è ubriaco. Si è indubbiamente ubriaco

2 commenti:

  1. Ciao,
    ho letto il tuo blog, complimenti per come scrivi, hai una vena umoristica micidiale :D
    Ma non ho capito che lavoro fai là (il cuoco?)
    E se sei partito avendo già in tasca il lavoro o l'hai trovato là? notizie importanti per noi sognatori italiani :)

    RispondiElimina
  2. Ciao, scusa se ti rispondo solo ora. Prima di tutto grazie.....si...faccio il cuoco e sono arrivato qui senza nessuna concreta offerta di lavoro. Un gruppo ristorativo aveva risposto ad una mia mail inviata dall'Italia invitandomi a ricontattarli non appena in territorio Canadese. Troppo poco per decidere di partire. Diciamo che ho deciso dopo aver partecipato ad una job fair a Parigi tenuta dal governo Canadese. Anche lì non c'è stata nessuna possibilita' concreta, ho solo sentito nell'aria una strana sensazione che aveva il gusto di nuove possibilita' e nuove sfide. Qui non è il paradiso, ma se hai voglia puoi metterti in gioco ed essere valorizzato. E' una sensazione interessante e ho deciso di godermela fino in fondo. Ovviamente per poter lavorare qui avevo fatto richiesta di un Working Holiday Visa che dura 6 mesi. Se hai altre domande son qui. Ciao.

    RispondiElimina