Ho prenotato un
ostello per i primi giorni. Ho fatto tutto come un vero professionista del
viaggio. Ho prenotato su hostelword e subito è arrivata la mia ricevuta con
l’indicazione dei giorni di soggiorno. A stretto giro mi è arrivata un’altra
mail della proprieta’ dell’ostello che mi chiedeva info riguardo il mio volo e
soprattutto di chiamarli telefonicamente appena arrivato a Vancouver in modo da rendersi reperibili .
Rendersi reperibili? Ho
tradotto male? Può essere. Il traduttore di Google può aver capito tradotto male. Per
essere certo chiedo alla mia compagna che l’inglese lo mastica e non lo sputa
come invece faccio io.
Confermato. Farsi
trovare, quindi non sono sempre presenti sul posto, non c‘è una reception ma
allora cosa c’è e soprattutto come faccio se non riesco a contattarli. Sono in grado di
arrivare all’ostello ma poi loro come fanno a sapere che son lì.
L’ansia è seduta al mio fianco e mi detta una mail in un inglese perfetto in cui chiedo chiarimenti. La risposta arriva subito a mezzo Iphone chiarendomi che avendo loro in carico diverse guesthouse non possono essere in tutte contemporaneamente e soprattutto in maniera continuativa. Quindi? Devo chiamarli.
L’ansia è seduta al mio fianco e mi detta una mail in un inglese perfetto in cui chiedo chiarimenti. La risposta arriva subito a mezzo Iphone chiarendomi che avendo loro in carico diverse guesthouse non possono essere in tutte contemporaneamente e soprattutto in maniera continuativa. Quindi? Devo chiamarli.
Mi offrono poi un
servizio di pick up dall’aereoporto ad un prezzo accettabile. Accetto subito ma
condizione incontrovertibile è che io chiami dall’aereoporto non appena
arrivato. Ho fatto di tutto, credetemi, per evitare quella telefonata. Il mio
inglese arrugginito da anni di spagnolo e francese parlato male, dimenticato
nel cassetto dei viaggi possibili non poteva reggere una conversazione
telefonica, vale a dire senza il sostegno del labiale. Mi rassegno. Appena
atterrato a Vancouver faccio le varie pratiche di ingresso con
il mio Working Holiday Visa che mi permettera’ di restare in suolo canadese per
6 mesi e di lavorare ovviamente. Primo timbro sul passaporto e nessuna domanda
da parte dell’addetto che chiamerò Primo come si faceva un tempo quando si
facevano molti figli. Io essendomi preparato su vari blog e siti internet sulle pratiche di ingresso e
la documentazione che solitamente chiedevano gli ho vuotato sulla scrivania
tutti i documenti necessari, assicurazione, dichiarazione della banca, lettera
di ingresso speditami dall’ambasciata di Roma, insomma tutto e tutto per
evitare una sua domanda alla quale avrei risposto con un silenzio imbarazzato
la bocca socchiusa e la testa piegata di tre quarti come a dire si….ma in che
senso scusa. Avergli riempito la postazione di scartoffie ha avuto l’effetto
contrario. Non è a Primo che dovevo consegnarle. Primo doveva solo visionare il
mio passaporto. Avrei dovuto fare ancora un altro passaggio. Primo, guarda
avanti ed invita il prossimo. Mi infilo in un corridoio che mi porta a
degli altri sportelli dove c’è gente in fila e c’è una ragazza in divisa che controlla le scartoffie, quelle
che ora ho in mano arruffate in maniera disordinata e che avevo raccolto
frettolosamente prima che Primo si innervosisse. La ragazza, l’agente, ha occhi
azzurri, capelli biondi carnagione chiara con gote rosse. Ha dei tratti molto
dolci camuffati da una divisa scura e da fattezze armate oltre che da un’altezza
considerevole, tutti elementi che ne fanno quello che dovrebbe essere un ottimo
agente di frontiera: invalicabile.
La mia
documentazione è in regola, posso varcare la porta, cercare la mia valigia rossa
che vedo galleggiare su un’onda di acciaio ed uscire a fare quello che non
avrei mai voluto fare. Telefonare all’ostello. Mi avvicino ad un punto
informazioni dove mi attende con lo sguardo una ragazza. Non sa cosa la
attende. Mi chiede due volte molto gentilmente che cosa cazzo sto cercando di
dirle. Le parole si accavallano, si scontrano e mi sento parlare spagnolo,
francese ce n’è per tutti. Per chi avesse visto lo splendido film Il nome della
rosa non sara’ difficile rivedermi nella parte di Salvatore, colui che parlava
tutte le lingue e nessuna. Alla fine indico il telefono, la ragazza me lo porge
ed a questo punto mi aspetterei un premio una banana o qualcosa che attesti il
mio superamento della prima prova. Ma ora il primate deve evolversi ed in pochi
secondi deve acquisire capacita’ che hanno richiesto milioni di anni. Ora devo
parlare. Il telefono squilla. Risponde una voce ed al suo primo cedimento
ritmico io inizio una pappardella che mi ero preparato. Vengo interrotto da un
biiiiiiiiip acuto ma non sono ai varchi di controllo, è una segreteria. Tutto
quello che ho detto l’ho detto prima del biiiiiip. Ricomincio perdendo il filo
ma con la certezza che nessuno dall’altra parte abbia necessita’ di capire ogni
parola. Scandisco bene il mio nome e pick up. Faranno due più due ed
accorreranno a prendermi. Purtroppo non va proprio così quindi dopo aver
aspettato mezz’ora sono costretto a richiamare. Torno al punto informazioni e
chiedo di fare un’altra telefonata. A questo punto un’altra operatrice mi
chiede se ho dei problemi con l’alloggio, o almeno il senso della domanda in
linea di massima doveva essere questo. E’ una sensazione strana è come…..è come avere un
anno. Come fanno i bambini di un anno a comunicare di essere completamente
nella merda, che quel latte di ieri ha fatto a pugni con l’omogeneizzato al
salmone selvaggio ed ora il livello di merda è tale da mettere in difficolta’
la tenuta di qualsiasi pannolino. Come fa un bambino di un anno? Piange, che
diamine!
Ma io non posso
farlo, anche se vi garantisco che avrei una voglia matta di lanciarmi in un
urlo liberatorio, straziante. Devo respirare e concentrarmi e soprattutto
mettere in fila, una dietro l’altra le parole di inglese che conosco e che mi
possono servire. The book e the table in questo caso non servono. The window
neppure.
I have a problem.
Ecco si, ho un problema. Poi afferro il foglio di carta della prenotazione
gentilmente inviatomi da hostelword. La ragazza capisce al volo come una mamma
che legge nel pianto del suo bambino. Richiama lei l’ostello ed è fatta stavolta,
tra 30 minuti saranno lì. Ora va meglio. Decisamente meglio. Ecco come
dev’essere la sensazione di quando da neonato ti cambiavano il pannolino. Grazie
mother.
Aspetto, cha
altro posso fare. Un puntino nel vuoto immenso che fanno gli aereoporti vuoti.
Una signora cinese mi avvicina e pronuncia il mio nome come se stesse per
starnutire e io nelle sue difficolta’ di
pronuncia gioisco nel non sentirmi solo.
Il pick up ha
inizio con le presentazioni. Sono un cuoco, sono italiano starò qui per 6 mesi.
Direi che può bastare al primo incontro, non vorrete mica che vi racconti la
mia vita. Sto iniziando da poco a parlare e mi caco ancora nelle mutande, cosa
pretendete.
Il mio primo
alloggio canadese è al primo piano di Mc Kay street. All’entrata mi accolgono 8
forse 9 paia di scarpe. Il rituale prevede che presenti le mie scarpe alle
altre per evitare che il nuovissimo parkett Ikea si rovini. La casa è piena di
ragazzi di diverse nazionalita’ ma con una caratteristica che gli accomuna.
Parlano tutti inglese. Condivido la stanza con un ragazzo proveniente dal centro del Canada che sembra il risultato di
esperimenti sugli ormoni alimentari. E’ enorme e con una voce che sembra
provenire da lontano, dal centro del Canada. E’ a Vancouver per seguire la sua
squadra, non so di cosa, so solo che la sua squadra ha perso e che lui è
ubriaco. Si è indubbiamente ubriaco
Ciao,
RispondiEliminaho letto il tuo blog, complimenti per come scrivi, hai una vena umoristica micidiale :D
Ma non ho capito che lavoro fai là (il cuoco?)
E se sei partito avendo già in tasca il lavoro o l'hai trovato là? notizie importanti per noi sognatori italiani :)
Ciao, scusa se ti rispondo solo ora. Prima di tutto grazie.....si...faccio il cuoco e sono arrivato qui senza nessuna concreta offerta di lavoro. Un gruppo ristorativo aveva risposto ad una mia mail inviata dall'Italia invitandomi a ricontattarli non appena in territorio Canadese. Troppo poco per decidere di partire. Diciamo che ho deciso dopo aver partecipato ad una job fair a Parigi tenuta dal governo Canadese. Anche lì non c'è stata nessuna possibilita' concreta, ho solo sentito nell'aria una strana sensazione che aveva il gusto di nuove possibilita' e nuove sfide. Qui non è il paradiso, ma se hai voglia puoi metterti in gioco ed essere valorizzato. E' una sensazione interessante e ho deciso di godermela fino in fondo. Ovviamente per poter lavorare qui avevo fatto richiesta di un Working Holiday Visa che dura 6 mesi. Se hai altre domande son qui. Ciao.
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